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Cozzando Leonardo la fenice degli ingegni de suoi tempi Ottavio Pantagato abate servita bresciano, consacrata all'illus.signor Hippolito Fenarolo Brescia 1682 per rizzardi, volume in 12°, in cartonatura coeva, piccola nota a pennino a uno dei piatti, internamente volume in buone condizioni generali, minime fioriture e all'ultime 3 carte un lieve alone; piccolo strappetto al margine di pag.119.

 

(Brescia o Manerbio, 15 agosto 1494 - Roma, 16 gennaio 1567). Entrato nel convento di S. Alessandro dell'Ordine dei Servi di Maria, ebbe come maestro Pomponio Leto. Sacerdote nel 1517 c., studiò poi a Parigi e alla Sorbona, dove si laureò in teologia approfondendosi anche nelle lettere latine, in quelle greche e in storia. Conobbe Quinzano Stoa di cui divenne amico e che lo introdusse a corte quale precettore del futuro Francesco I. A Parigi insegnò poi teologia. Trasferitosi a Roma, nel 1527, fu nominato dal card. De Monte professore alla Sapienza e fu tale la sua fama da essere chiamato, anziché Pagato, Pantagato. Durante i pontificati di Paolo III e Pio IV fu per due volte sul punto di essere fatto cardinale, ma trovò l'opposizione, non si sa perché, della casa De Medici. Si impose sempre più alla ammirata stima degli studiosi e dei colti, per la vasta cultura, specialmente nelle antichità greche e latine. Assunto alla corte del cardinale Giovanni Salviati, nipote di Leone X, ebbe per suo intervento una commenda su un'abbazia siciliana, per cui abbandonò l'ordine dei padri serviti e si fece sacerdote secolare. Fu accetto anche dai Farnese. Anche dopo la morte avvenuta nel 1553 del card. Salviati rimase a Roma, e quando Paolo IV ordinò che tutti i religiosi commendatari ritornassero nel loro ordine egli obbedì e ritornò nell'Ordine dei Servi di Maria. Benché colpito nel 1562 da paralisi, continuò a studiare e ad avere rapporti con studiosi fin a quando un nuovo colpo apoplettico ne troncò l'esistenza a 73 anni. Tra le molte attività che svolse si sa che si dedicò alla cura e alla correzione di testi di Catullo, Tibullo, Properzio e Varrone ecc. Fu amico e corrispondente di Paolo Manuzio, amico del card. Polo. Fu anche in contatto con il circolo culturale raccoltosi a Lonato intorno al prevosto Zini. Venne sepolto in S. Maria in Via e sulla sua tomba venne posta la seguente iscrizione: «Octavio Pacato brixiensi / solidatis servor, obs sodali / viro antiquae probitatis / tantiq erga omnes officii / ut unus in urbe / patris cognomine coleretur / Augustinus et Io. Anton. Ricciardi heredes ex test. / avunculo benemerenti / P. vixit an. LXXIII MDIID. XX / obiit ann. sal. MDLXVII-XIIII cal. ian.». Di carattere timido e riservato, timoroso del giudizio altrui, come attesta il Borromeo, cui fa eco il Giraldi, quasi nulla volle dare alle stampe, permettendo tutt'al più che sotto il suo nome circolassero opuscoli manoscritti. Ma sebbene pochissimo avesse pubblicato in vita ebbe grandissima fama di erudito e di cultore di storia. Giuseppe Scaligero lo disse "padre dell'Istoria"; il card. Federico Borromeo lo indicò «peritissimo, in tutta l'antichità e degno che tutti accoresse ad essere istruiti». Altri lo esaltò come la Fenice degli ingegni del suo tempo. Il card. Federico Borromeo lo definì: «Servitarum ordinis insigne decus». A detta del Tiraboschi (T. VII, 1.III p. 860) il cardinale Federico attestò d'aver veduto alla Vaticana un trattato di grammatica del Pantagato e all'Ambrosiana un codex rationum, in cui il Pantagato rivela la sua alta competenza in materia di pesi e monete antiche. E infatti questo codice esiste all'Ambrosiana (j. 29 P. Inf.): «Octavii Pacati postquam paterni iuris esse / desiit, pecunie omnis accepte expenseque in / quo impari numero tabule relatam habent pe / cuniam in singulos annos acceptam, altere pari latam expensam. Valor antique monete cum huius temporis pecu / nia collatus et note». In basso: «Octavius Pacatus qui postmodum Octavius Panthagattus». L'opera consta di 47 fogli in pergamena (costituenti la quarta parte di questo codice miscellaneo), nei quali l'autore annota l'importo delle entrate e delle uscite suppergiù annuali o semestrali (dal 1516 al 1561) in misure latine corrispondenti alla moneta del nostro tempo. Lodi ampie fecero di lui il Giraldi, il Manuzio, Battista Pigna, il Moretto che lo lodò soprattutto per le sue emendazioni del testo catulliano, ricordate anche da Achille Stazio Lusitano, che ne ammirò la probità e la sicura dottrina, e molti altri dotti. Marcantonio Flaminio in un suo epigramma lo rappresenta quasi sepolto dalla mole dei suoi libri greci e latini. In un suo epigramma Carlo Malatesta ne esaltò la profonda cultura antiquaria.(rif. enc. bre.vol12p.60)

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