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Arnaldo Soldini riottolo di campagna con fiume dimensioni 46x61 cm con cornice 58x73 cm olio su tela Exp. Anelli firmato in basso a destra, opera realizzata tra il 1910 al 1930, opera nella quale si avverte una forte consonanza con la pittura colta di gusto simbolista di Castelli, ne fanno fede la qualità particolare dei verdi e l’uso della luce per lo sfondo.
Soldini Arnaldo (Brescia, 17 novembre 1862 - 18 novembre 1936). Di Giovanni, proveniente da Leno, e di Santa Trench. Terzo di sette fratelli, il padre lo obbliga a raggiungere il diploma di ragioneria, permettendogli tuttavia di dedicarsi all'innata passione per il disegno e la pittura. Come ha scritto il Lonati: "Incominciò tutto solo colla copia amorosa e scrupolosa del vero e portò un suo primo saggio di natura morta (che serbò sempre carissimo come indice della propria vocazione) al pittore Campini, che aveva allora a Brescia buona fama, particolarmente come ritrattista e come decoratore. Ebbe dal Campini qualche ammaestramento: ma prese presto la via da solo, pur guardando con attento studio l'opera dei più anziani di lui e raffrontandola al vero, che era ritenuto pur sempre come la fissa mèta attraverso alle varie sensibilità interpretative. Pochissimo o nulla trasse dal più originale e potente tra essi, il Filippini; poco dal Bertolotti che recava a Brescia il frutto dei suoi studi nelle Accademie di Milano, di Firenze, di Roma e di Monaco, maggior influsso sentì dal Lombardi che gli fu più vicino, anche per consuetudini di vita, e che si affermava con una pittura di delicati accordi tonali, abilissima nel tocco netto, disegnato, preciso, senza essere ancora calligrafico". Su consiglio di Lombardi intraprese lo studio dal vero in Valtrompia. Sembra che una delle sue prime comparse in pubblico sia avvenuta con la mostra della Sezione bresciana del CAI a Palazzo Bargnani, nella quale compaiono quadri del Soldini e di altri che "allearono così l'arte all'alpinismo". Tuttavia la vera nascita artistica del Soldini si avvia con la mostra dell'agosto 1886 in sede ad "Arte in famiglia" nella quale, unendosi d'amicizia ai più noti artisti nostri e nelle esposizioni del sodalizio, figura assiduamente nei primi due decenni del Novecento. Già nella mostra dell'anno dopo (1887) si registrano "buone vendite dei suoi quadri". Infatti "Valle Trompia" è acquistata dal Municipio; "Valle di Esine" e "Inverno" dal conte Francesco Martinengo. Nell'agosto 1889 è presente alla Permanente di Milano e ad "Arte in famiglia". Difficoltà familiari lo costringono nel 1890, nonostante i successi artistici, ad impiegarsi al Catasto. La morte del padre nel 1892 e il superamento delle difficoltà familiari, gli permettono di riprendere a dipingere e di presenziare nel 1892 alla mostra del circolo artistico. Il dono di un estimatore risolve le necessità materiali del pittore, che si vede nominato beneficiario d'una casa in via X Giornate, dove abiterà fino al 1931. Superate le difficoltà economiche nel 1895 si licenzia per dedicarsi al dipingere. Nel maggio 1896 è presente alla Permanente di Milano con paesaggi Camuni; nell'aprile - maggio 1897, con gli stessi, è alla Triennale di Milano, e con "Lago d' Amo" e "Dopo la pioggia" alla Biennale di Venezia. Paesaggi espone nel gennaio 1898 nelle vetrine Bertoglio di corso al Teatro. Nel settembre dello stesso anno, all'Esposizione di arte moderna per le Feste morettiane, espone "Marzo", "Solitudine", "Monte Concarena", "Mattino", "Cessa la pioggia", "Giornata calda in Valcamonica", "Al Lago d'Arno". Nell'aprile 1899, alla Mostra internazionale di Venezia, un suo "Paesaggio alpestre" viene acquistato dal Museo Revoltella di Trieste. Angelo Canossi nel gennaio 1900 lo accoglie alla Piccola permanente da lui organizzata, e con "Mattino in Valcamonica" è presente all'Esposizione della pittura lombarda del sec. XIX. Nel dicembre '900, nel negozio Canossi, viene esposta "La Malga del Baitone" e all'Esposizione di Arte moderna a palazzo Bargnani coglie un vero successo con "Rose di Natale", "Elleburne", "Mattino alla malga", "Viene il temporale", "Tramonto in Valle di Scalve". Nel 1904 è con le stesse opere all'Esposizione bresciana dove "Paesaggio alpestre" viene acquistata dal Museo Civico di Trieste" e "Una grandinata", dalla Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Nel settembre 1909 presenta all'Esposizione di pittura e scultura di Palazzo Bargnani "Dintorni del Mella", "Rustico", "Torrente". Ormai è fra gli artisti bresciani più conosciuti e con Bertolotti, Pasini, Botta, Fiessi, Cresseri fa circolo al Bar Roma. Nell'aprile 1911 si impone alla Permanente milanese con la tela "In Valtrompia" e, sempre nello stesso anno la Pinacoteca bresciana acquista "Vette alpine". La notorietà raggiunta da Soldini gli consente di essere nominato membro della Commissione igienico edilizia (1914), di entrare in giurie di premi quali il "Magnocavallo". Concorre alla buona riuscita della mostra allestita in Milano per onorare lo scultore Domenico Ghidoni. Anche durante il primo conflitto mondiale Soldini si rivela attivo: "Primavera della montagna" nel 1916 entra a far parte della collezione civica, mentre altre opere sono acquistate in occasione di mostre: "Poggio fiorito", "Marzo", "Cantuccio", "Cascata di Barbellino", esposta nel 1918, "Veduta di Ome", "Paesaggio di Valle Trompia" esposte nel novembre 1920 e nel novembre 1921 ad "Arte in famiglia", nel maggio 1923 alla III Mostra Nazionale di pittura e scultura. Un lungo malanno lo costringe poi a lavorare sulle rive del Lago d'Iseo, ed è "Il Lago d'Iseo visto da Montisola" che presenta nel maggio 1926 alla I Triennale d'arte e, con altri paesaggi sebini, alla Triennale di Brescia del 1928. Demolita dal piano regolatore la casa avuta in dono, per far posto a piazza della Vittoria, Soldini si trasferisce in via Montenero 1, dove vive sempre più isolato, salvo la partecipazione nel febbraio 1932 alla III Mostra d'arte del Sindacato fascista Belle Arti di Lombardia. Ma sembrava che oramai, come scrive il Lonati, l'ispirazione avesse ceduto "alla meticolosa esecuzione" e che raramente "riaffiorasse un palpito vivificatore". "Lavoratore metodico", ha sottolineato il Lonati, "aveva nella tarda età rallentato e quasi sospeso la sua opera per scrupoloso timore che anch'essa risentisse il freddo scolorarsi degli anni. Ma infine, anche per vicende della vita che poca ricchezza gli aveva dato, aveva ripreso con nuova lena e vena il lavoro. Era tornato, come a chiudere il ciclo dell'esistenza, alla cara Valtrompia della prima giovinezza, al Mella vivido di iridate spume fra i massi, alle verdi conche romite. E, felice di questo rifiorire di energie, di questo impensato ritorno di giovinezza, vagheggiava speranze, come se la vita gli avesse aperto un nuovo varco verso l'avvenire. Era giunto invece al chiuso limite estremo". Infatti un malore improvviso gli troncò l'esistenza nel giorno settantatreesimo di vita. Alquanto dimenticato, a Soldini viene resa giustizia con la mostra commemorativa di Iseo del settembre 1972 nella quale compaiono circa 60 suoi dipinti e il cui catalogo reca i contributi critico e bio-bibliografico di Gaetano Panazza e Ornello Valetti. Il Lonati rimarca come le opere del Soldini siano state apprezzate anche dai collezionisti: "Piazzetta del villaggio", nel 1896 fu venduta per cinquecento lire; "Case in montagna" a trecento nel 1903; v'è chi afferma che il Soldini figurò in mostre a Monaco e Leningrado e che sue opere restino in collezioni estere. Oltre a quelle già ricordate, tele con "Portico a Capodiponte" (1885), "Vetta alpina" (1912); "Primavera della montagna" e "Sole d'inverno" (1916) sono acquistate dalla Pinacoteca di Brescia; "Tramonto su una ortaglia semicoperta dalla neve" (1909) dalla Galleria d'Arte moderna di Milano; "Paesaggio della Val Trompia" dal Credito Agrario Bresciano; "Inverno" dai duchi di Genova. Opere tutte in cui, come è stato scritto, la sincerità del sentimento reca con sè nota vitale che non muta: sentimento trasfuso nei paesaggi, lieti o malinconici, ai quali la memoria dell'Artista nostro s'affida e che a volte si dissolvono del contenuto materiale in un mondo di estasi dello spirito.
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Enrico Albrici olio su tela dimensioni 44x33,5 con cornice 52x43, 5 bella raffigurazione tipica del pittore con paesaggi sullo sfondo che richia
Pittore, nato a Vilminore (Bergamo) nel 1714, morto a Bergamo nel 1775. Studiò a Brescia alla scuola di Ferdinando Cairo; in questa città, in Val Camonica e nella nativa Valle di Scalve eseguì affreschi e pale d'altare; ma, stabilitosi nel 1763 a Bergamo pur continuando a trattare di tanto in tanto soggetti religiosi, si dedicò di preferenza alle bambocciate, con quadri di caricatura che dal Cerquozzi in poi avevano avuto fortuna in Italia. L'Albrici si pose a dipingerle sul gusto di Faustino Bocchi bresciano, che aveva coltivato con successo quel genere; ma le opere dei due si distinguono, anche se i soggetti trattati sono pressoché identici: il Bocchi ha una pennellata più succosa e più libera, l'A. più leccata e determinata; nel primo si notano i rossi, avvampanti visi dei suoi pigmei, e nel secondo un'intonazione generale chiara e argentina. Il suo stile, in parte autodidatta, tanto raggiunse livelli di eccellenza nella bambocciate (dapprima copiando e poi creando un proprio stile), tanto conobbe poca evoluzione creativa nelle tematiche sacre, come dimostrano i suoi ultimi lavori nella parrocchia di Zogno, in cui si possono trovare numerose similitudini con i lavori degli esordi; divenne pittore apprezzato dai pittori a lui contemporanei e da numerosi collezionisti, dapprima nella provincia di Brescia, grazie ai suoi lavori a tematica sacra e successivamente nella città di Bergamo grazie alle sue bambocciate, lavori che vennero inviati anche a Milano e a Torino.
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